Un mondo da favola, abiti sfavillanti, mare cristallino, cene eleganti. Sembrerebbe un sogno, se non fosse la versione social di una vita normale. Sì, perché tutti o quasi cedono almeno una volta alla tentazione di ostentare sui social network uno status invidiabile.

Attenzione però a pubblicizzare troppo il proprio tenore di vita ed il proprio status stellato su Facebook e su Instagram. Ciò non è solo una regola di prudenza dettata dal buon senso, ma costituisce quando di più recente affermato dai tribunali italiani, che si sono trovati a giudicare (negativamente) i casi più disparati. Al riguardo infatti, gli esempi di cui si compone la giurisprudenza sono moltissimi ed eclatanti, soprattutto negli ultimi tempi. Oltre all’invidia di chi non può permettersi tanto sfarzo, coloro che ostentano troppo sui social attireranno anche e immancabilmente i controlli del fisco. Circa un anno fa infatti l’Agenzia delle Entrate ha diffuso una circolare in cui ha spiegato che ai controlli sulle banche dati tradizionali verranno affiancati sempre più spesso altri tipi di indagine, che potranno essere condotti usando strumenti diversi. Compresi quelli digitali. Nulla vieta ai contribuenti di continuare a postare la propria vita da sogno sui social e ad immortalare la propria vanità. L’importante è sapere che verosimilmente tutto ciò farà scattare, prima o poi, il temutissimo accertamento fiscale. L’accertamento fiscale nei confronti dei contribuenti deriva da un sistema che l’Agenzia delle Entrate usa per valutare la congruenza degli acquisti e del tenore di vita con il reddito dichiarato annualmente dal contribuente: si chiama accertamento sintetico e si avvale del cosiddetto redditometro. Il Fisco, tramite le entrate e le uscite, tiene sotto controllo il tenore di vita di tutti noi e quando le uscite diventano troppe rispetto alle entrate scattano gli accertamenti fiscali. Il ragionamento alla base di tutto è il seguente: ognuno di noi può spendere quanto guadagna. Dal punto di vista del Fisco, se gli acquisti sono superiori alle entrate di almeno il 20% o si ricevono pagamenti in nero, o si ha vinto al gioco, o si sono ricevute donazioni. In questi due ultimi casi è necessaria però una dimostrazione rigorosamente contabile. La vanità sui social può quindi costare molto cara così come l’ostentazione di vite invidiabili, anche se forse non reali. Tutto ciò che viene pubblicato on line dal contribuente costituisce, da un punto di vista giuridico, una vera e propria confessione che consente di avviare l’accertamento fiscale. Le pagine dei social network sono producibili in giudizio e, salvo prova contraria, il semplice log-in può attribuire paternità certa ai contenuti pubblicati da quel profilo utente. È vero che uno screenshot da solo non basta e occorre dare data certa al contenuto postato ma unito ad altri elementi può essere valutato dal giudice ed avere serie conseguenze fiscali, civili e anche penali per l’utente in cerca di visibilità.